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Mia a spasso per il mondo

Capitolo 5

Nel boschetto il tempo sembrava scorrere con un ritmo tutto suo, per Mia, quei giorni erano stati un dono prezioso.

Sapeva saltare silenziosa tra i rami bassi, muoversi come un’ombra tra i cespugli, riconoscere gli odori nell’aria e perfino prevedere i movimenti degli altri animali solo osservando le foglie tremare.

Grazie a Tobia, il grande cane dal cuore gentile, aveva imparato a leggere il linguaggio del vento, a sentire il terreno sotto le zampe, a fidarsi del proprio istinto. Con Robin, il pettirosso, aveva scoperto la leggerezza del gioco, l’importanza dell’equilibrio e della velocità.

Il bosco era diventato quasi una casa, ma non del tutto. Non c’erano cuscini morbidi, né ciotole piene, né il suono rassicurante della voce umana. 

Quella mattina, Tobia la osservava in silenzio, disteso sotto un albero.

— Hai ascoltato il bosco. Ora è tempo di ascoltare il mondo. — 

— È il momento, vero? — chiese Mia una mattina, mentre guardava un sentiero che si apriva oltre gli alberi.

Tobia annuì lentamente.

Robin volò giù da un ramo e si posò accanto a lei.

— Non c’è mappa per dove stai andando, Mia. Ma il tuo cuore è una bussola. Fidati. — 

Insieme, camminarono fino al margine del boschetto, là dove gli alberi si diradavano e il verde lasciava spazio al grigio dell’asfalto. Un piccolo sentiero sterrato, incorniciato da cespugli di rose e piante di menta selvatica, si apriva tra l’erba alta come un invito.

— Questo è il sentiero che porta al quartiere — disse Tobia. — Oltre c’è un mondo fatto di luci, odori, suoni… e pericoli. Ma anche meraviglie. Devi usare tutto ciò che hai imparato. — 

Mia annuì. Il naso le pizzicava per gli odori nuovi: fumo, ferro, pane tostato, benzina… un miscuglio strano, ma non sgradevole.

— Ricorda: non tutto ciò che luccica è buono, e non tutto ciò che fa paura è cattivo — le disse Tobia. — Guarda, ascolta, impara. E torna quando vorrai. Il bosco ti aspetta. — 

Robin si avvicinò e le toccò il naso con il becco.

— Io tengo il tuo posto sul ramo. — 

Mia sorrise. Era emozionata, ma non aveva paura. O almeno, non abbastanza da fermarsi.

Con un’ultima occhiata al bosco, ai suoi amici e alle fronde familiari, mise una zampa oltre il confine d’erba, sul sentiero di terra battuta.

Quando raggiunse l’ultimo cespuglio, il bosco era alle sue spalle. Davanti a lei, le prime case del quartiere si allineavano come sentinelle silenziose: basse, colorate, con giardini pieni di voci, profumi e storie.

Mia si accucciò sotto un cespuglio di lavanda per osservare. C’erano bambini che ridevano, un’anziana signora che stendeva il bucato, un camioncino del pane che suonava il clacson. Ogni movimento era nuovo, ogni suono un mistero da decifrare.

La gattina esplorava a piccoli passi. Camminava accanto ai muri, annusando le grate, osservando i movimenti dietro le finestre. Si muoveva tra giardini e vialetti come una piccola investigatrice.

Fu in un cortile soleggiato che lo vide per la prima volta.

Un vecchio gatto tigrato, dalle orecchie rovinate e gli occhi gialli come la luna, sedeva immobile sopra un cassonetto, osservando il mondo come se fosse un re in cima al suo trono.

Mia lo fissò affascinata.

— Chi sei? — chiese timidamente.

Il vecchio gatto socchiuse gli occhi.

— Dipende da chi lo chiede. — 

— Mi chiamo Mia. Vengo dal giardino… e poi dal boschetto. — 

Il vecchio emise un miagolio basso, simile a una risata.

— Allora sei ancora nuova. Io mi chiamo Ombra. Da queste parti mi conoscono tutti. — 

Mia si arrampicò agilmente sul muretto accanto.

— Hai vissuto qui a lungo? — 

— Abbastanza da sapere che ogni cosa, anche quella più piccola — rispose Ombra. — Le crepe nei muri, le orme sul cemento, le finestre aperte solo la mattina… — 

Mia lo ascoltava rapita.

— Tobia mi ha insegnato a muovermi. Tu puoi insegnarmi a… capire? — 

Ombra inclinò la testa.

— Bella domanda. Capire è difficile, anche per un gatto vecchio come me. Ma si può iniziare osservando. Guardare davvero. Non solo con gli occhi, ma con tutto il corpo. — 

Fece un cenno con la zampa verso un angolo del cortile.

— Vedi quella buca nella rete? Qualcuno ci passa ogni notte. Guarda i peli incastrati. Grigi. Probabilmente un altro gatto. Ma se annusi bene, sentirai odore di tonno… qualcuno lo nutre. Forse una vecchia signora. — 

Mia si avvicinò, annusò, scrutò.

— Hai ragione…! — 

Ombra socchiuse gli occhi.

Mia si sedette accanto a lui, piena di domande, quando Ombra si alzò lentamente e stiracchiò le zampe anteriori. Il sole del pomeriggio gli disegnava riflessi dorati nel pelo, ma i suoi occhi gialli restavano freddi e attenti.

— Se vuoi davvero imparare a capire la strada, devi conoscerla passo per passo — disse.

Mia lo seguì, emozionata. Non era mai andata così lontano da sola. Ombra camminava con passo calmo e sicuro, evitando i punti in pieno sole e fermandosi a ogni angolo per annusare l’aria.

— Il quartiere parla — spiegò. — E chi sa leggere i suoi segni, ha un vantaggio. — disse.

Passarono accanto a una panetteria: l’aria era densa del profumo del pane appena sfornato. Ombra fece un cenno con la coda.

— La signora che lavora lì lascia spesso delle briciole dietro il bidone. Ma solo il lunedì e il giovedì, dopo le sei. — 

Poi attraversarono un piccolo cortile con una fontanella. Un merlo beccava tranquillo vicino all’acqua. Ombra non lo disturbò.

— Qui viene a bere anche un riccio, la sera tardi. Attenta però: in questo angolo passano spesso gli umani con i cani. Alcuni sono amichevoli, altri meno. — 

Mia ascoltava ogni parola, registrando luoghi, odori, rumori.

Quando arrivarono in fondo alla via, Ombra si fermò.

— Ora una piccola prova. — 

Indicò con la testa un cortile chiuso da una rete metallica.

— Là dentro vive un gattino giovane, chiamato Pepe. È curioso come te. Ma oggi non si è visto. Entra e guarda se sta bene. Io tengo d’occhio l’ingresso. — 

Mia annuì e si infilò agilmente sotto la rete. Il cortile era silenzioso, con un grosso cespuglio di ortensie e un vecchio triciclo arrugginito.

— Pepe? — miagolò piano.

Un fruscio. Poi un miagolio flebile. Mia si avvicinò e lo vide: un micetto bianco e nero, arrampicato su un ramo basso, tremava.

— Non riesco a scendere… mi sono spaventato! — piagnucolava.

Mia si mise sotto di lui.

— Non è alto, puoi farcela. Fidati delle tue zampe. Io sono qui. — 

Pepe esitò, poi saltò. Atterrò goffamente, ma senza farsi male.

— Brava — disse Ombra, quando i due uscirono insieme dal cortile. — Aiutare qualcuno più piccolo è la prima vera prova per un gatto di strada.

Pepe corse via, miagolando un grazie. 

— È stato bello… poter fare qualcosa. — 

Ombra annuì, e il suo sguardo si addolcì per un attimo.

— Saper vedere è importante. Ma ancora di più è saper sentire. — 

Poi si voltò, iniziando il cammino del ritorno.

Il cielo si tingeva d’arancio, e le prime ombre si allungavano sulle strade del quartiere.

Mia le osservava.

Quelle ombre non facevano più paura. Ora erano solo una parte del mondo.

E lei ne faceva parte a sua volta.