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La marea del silenzio

Capitolo 9

Elisa si passò una mano tra i capelli, cercando di mettere ordine nei pensieri. Giulio Riva sapeva qualcosa, ma la paura lo bloccava. E se era così terrorizzato, significava che chiunque fosse dietro tutto questo aveva ancora potere su Monteriva.

«Dobbiamo trovare un altro modo per scoprire chi c'è dietro le transazioni», disse Elisa, guardando Matteo.

Lui annuì. «Potremmo concentrarci sui nomi che compaiono più spesso nel registro. Qualcuno potrebbe essere ancora in città.»

Elisa sfogliò le pagine fitte di annotazioni. Poi si fermò su un nome ripetuto più volte accanto a cifre considerevoli.

Alessandro Greco.

«Questo nome compare in più di una transazione,» osservò. «Lo conosci?»

Matteo inarcò le sopracciglia. «Sì. Greco è un imprenditore locale. Fa affari con metà Monteriva, ha costruito residence turistici e finanziato restauri. Ma anni fa era solo un nome di secondo piano.»

«E adesso gestisce investimenti milionari», conclude Elisa. «Potrebbe essere il collegamento tra il culto e il riciclaggio.»

La sera stessa, Elisa e Matteo parcheggiarono davanti a un elegante ristorante in centro. Greco era noto per cenare spesso lì, circondato da affaristi e politici locali.

«Se è coinvolto, non ci dirà nulla spontaneamente», sussurrò Matteo mentre entravano.

Elisa annuì, ma avevano bisogno di prove, non solo di sospetti.

Lo individuarono subito: un uomo sulla cinquantina, ben vestito, seduto a un tavolo appartato con un bicchiere di vino in mano. Parlava con due uomini dall'aria seria.

Elisa si presentò, mantenendo un tono cortese. «Il signor Greco? Sono l'ispettore Elisa Ferretti, siamo della polizia. Possiamo fare due chiacchiere?»

L'uomo sollevò lo sguardo mostrando un sorriso appena accennato. Ma nei suoi occhi c'era qualcosa di diverso.

Una lampada di riconoscimento.

E di allarme.

Alessandro Greco posò lentamente il bicchiere sul tavolo e osservò Elisa e Matteo con un sorriso misurato.

«Polizia?» La sua voce era calma, quasi divertita. «Non ricordo di aver fatto nulla di sbagliato.»

Elisa incrociò le braccia. «Dipende dai punti di vista. Vogliamo solo farle qualche domanda.»

Greco annuì e si rivolse ai suoi due commensali. «Scusatemi un momento, signori.» Poi fece cenno ai due agenti di seguirlo in una saletta più riservata del ristorante.

Una volta dentro, richiuse la porta e si accomodò con un'aria rilassata. «Allora, ispettore Ferretti, in cosa posso aiutarla?»

Elisa posò il registro sul tavolo e lo aprì su una pagina precisa. «Il suo nome appare spesso qui. Transazioni di denaro, sempre legate a Monteriva e a determinati immobili. Può spiegarci il motivo?»

Greco osservò il registro senza toccarlo. Poi sollevò lo sguardo su Elisa. «Investimenti. È un crimine fare affari?»

«Dipende», intervenne Matteo, «da che tipo di affari si tratta.»

Greco ridacchiò. «Siete venuti a interrogarmi o a minacciarmi?»

Elisa lo fissò. «Diciamo solo che ci interessa sapere se questi investimenti hanno a che fare con la scomparsa di alcune persone. Per esempio, con quella di Anna Riva.»

Per la prima volta, l'uomo smise di sorridere. La mascella si irrigidì per un istante, poi tornò a sfoderare un'aria disinvolta.

«Ispettore, non so nulla della sua amica. E se è sparita anni fa, dubito che il mio nome in un registro possa collegarmi alla sua scomparsa.» Si alzò e lisciò la giacca. «Ora, se non avete altro, devo tornare alla mia cena.»

Elisa lo fermò con un tono più freddo. «Se dovessimo trovare un legame tra lei e quello che stiamo cercando, torneremo con un mandato.»

Greco si chinò leggermente verso di lei. «Allora spero per voi che abbiate indizi convincenti.» E senza aggiungere altro, uscì dalla stanza.

Matteo sbuffò. «Ha paura, si vede. Ma non abbastanza.»

Elisa chiuse il registro con un gesto secco. «Dobbiamo capire cosa nasconde e se protegge qualcuno.»

Mentre uscivano dal ristorante, Elisa sentì il telefono vibrare. Un messaggio da un numero sconosciuto.

"Smettila di scavare."

Elisa fissò lo schermo del telefono. "Smetti di scavare."

Il messaggio era breve, diretto. E minaccioso.

«Chi è?» chiese Matteo, notando il suo sguardo teso.

Elisa gli mostrò lo schermo. Lui lesse il messaggio e alzò subito lo sguardo verso la porta della stanza da dove era appena uscito il sospettato.

«Credi sia Greco?»

«Difficile dirlo. Non penso sia così stupido da scriverci direttamente.» Elisa copiò il numero e lo inviò ai tecnici per una verifica. «Ma qualcuno ci sta osservando.»

Matteo fece un cenno con il capo. «Torniamo in centrale.»

L'ufficio di Elisa aveva l'aria più cupa del solito. Mentre aspettavano il responso sulla provenienza del messaggio, scorse di nuovo le pagine del registro.

Greco non era l'unico nome sospetto. Accanto a diverse transazioni compariva un altro nome, meno noto: Francesco Maltoni .

«Matteo, guarda qui.» Elisa gli indicò la colonna delle cifre. «Maltoni ha ricevuto pagamenti simili a quelli di Greco. Ma il suo nome non è mai emerso nelle indagini su Monteriva.»

«Potrebbe essere una pedina di secondo livello», ipotizzò Matteo. «Uno che esegue ordini.»

Il computer emise un suono: il responso sulla traccia del messaggio era arrivato.

Elisa aprì il file e il suo stomaco si strinse.

Numero non rintracciabile. Possibile utilizzo di un dispositivo usa e getta.

«Ci ​​stanno mettendo in guardia», mormorò Matteo.

Elisa chiuse il laptop e prese il telefono. «Forse è ora di sentire Maltoni di persona.»

Rintracciarlo non fu difficile. Francesco Maltoni lavorava come amministratore in una società di servizi di sicurezza privata, con sede in un edificio anonimo alla periferia di Monteriva.

La porta dell'ufficio era socchiusa quando Elisa e Matteo arrivarono. Bussarono, ma nessuno rispose.

Elisa scambiò un'occhiata con Matteo e girò delicatamente la porta. L'ufficio era piccolo, disordinato, con fogli sparsi sulla scrivania. Una tazza di caffè freddo era rovesciata accanto al telefono.

E poi lo videro.

Francesco Maltoni era riverso sulla sedia, la testa piegata all'indietro, gli occhi sbarrati nel vuoto.

Matteo si avvicinò, tastò il polso. Poi scosse la testa. «È morto.» 

Elisa e Matteo si allontanarono dalla scrivania, lasciando che il silenzio si posasse sulla stanza.

Elisa premette il tasto del cellulare e fece una chiamata rapida alla scientifica. «Abbiamo bisogno di un'équipe, subito. C'è un cadavere in un ufficio, Francesco Maltoni. Potete mandarci qualcuno per le prime rilevazioni?» 

La scientifica arrivò pochi minuti dopo la chiamata, portando con sé l'attrezzatura necessaria per le prime indagini. I periti iniziarono ad esaminare con attenzione la scena del crimine, raccogliendo campioni e scattando fotografie. Elisa e Matteo osservavano in silenzio, aspettando le prime informazioni.

Un tecnico si avvicinò alla coppia, indossando guanti bianchi. «Abbiamo trovato un segno interessante sul collo», disse, indicando la zona dove un livido violaceo era ben visibile. «La compressione sembra essere stata fatta con una forza considerevole, ma non ci sono segni di un oggetto specifico. Potrebbe essere stato strangolato a mani nude.»

Un altro membro del team prese la parola. «Abbiamo trovato tracce di una polvere sottile sotto le unghie di Maltoni. Potrebbe essere stato un tentativo di difesa. La polvere è insolita, non è una polvere comune, potrebbe essere legata a un ambiente specifico. Ci vorrà un po' per analizzarla.»

Matteo annuì. Elisa si voltò verso di lui. «È chiaro che questa morte non è stata un'improvvisata, c'è qualcosa di calcolato in tutto questo.»

Il tecnico che esaminava la scrivania li interruppe. «Abbiamo anche trovato impronte digitali su una tazza rovesciata e una maniglia. A prima vista non sembrerebbero appartenere a Maltoni, sono fresche. Potrebbero appartenere all'assassino.»

Elisa si avvicinò alla scrivania e notò un foglio accartocciato. Indossò un paio di guanti e lo aprì con mani ferme.

Una lista di nomi.

L'ultimo era quello di Anna Riva .

E accanto, una croce rossa.

La fissò. Il simbolo era marcato con forza, come un sigillo definitivo.

«Questa non è solo una lista di nomi», disse a bassa voce, mostrando il foglio a Matteo. «È una condanna.»

Matteo annuì. «E Maltoni era il successivo.»

Elisa lasciò vagare lo sguardo nella stanza, cercando altri indizi. Qualcuno lo aveva ucciso da poco. Forse avevano lasciato qualcosa.

Si avvicinò alla scrivania e notò un cassetto leggermente aperto. Lo aprì con cautela. Dentro c'era un taccuino sgualcito. Sfogliandolo, trovò pagine piene di appunti confusi e cifre. E nomi.

Molti già conosciuti.

Ma uno in particolare la fece sussultare.

Edoardo Vernazza.

Elisa sentì un brivido lungo la schiena. Vernazza, il giornalista trovato morto in circostanze sospette. Il suo nome era ovunque: accanto a date e a luoghi precisi. E, soprattutto, accanto al nome di Anna.

Matteo posò una mano sopra la sua spalla. «Credevamo che Vernazza fosse solo un pezzo del puzzle, ma sembra che fosse molto di più.»

Elisa strinse il taccuino. «O è stato eliminato perché sapeva troppo…»

Di ritorno in centrale, Elisa e Matteo si chiusero nell'ufficio per analizzare il taccuino. Ogni riga era una traccia, ogni cifra un possibile collegamento al culto, alla tratta di esseri umani e al riciclaggio di denaro.

«Guarda qui», disse Matteo, indicando un passaggio. «Vernazza aveva incontri fissi con Greco. E con qualcun altro, identificato solo con una lettera.»

Elisa scorse la pagina. Accanto a diverse date c'era sempre la stessa lettera: R.

«Potrebbe essere il vero capo», ipotizzò Elisa. «Qualcuno abbastanza potente da rimanere nell'ombra. Comunque è chiaro che Vernazza era tenuto d'occhio.»

Un messaggio interruppe i loro pensieri.

Una notifica sul telefono di Elisa.

Un'altra minaccia.

“Basta così.”

Questa volta, allegata c'era una foto.

Un'auto.

La sua auto.

Parcheggiata fuori casa sua.

E sul cofano, incisa con un oggetto appuntito, una croce.