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Il seggio del silenzio
Prima parte
Il piccolo paesino di Montefreddo, nascosto tra le montagne e avvolto da una costante nebbia, contava poche anime, tutte unite da legami di sangue o antiche amicizie e il seggio, ospitato nella vecchia scuola ormai abbandonata, era l'unico luogo in cui si potesse votare.
La mattina delle elezioni a Montefreddo era come una qualsiasi altra mattina d'autunno: la nebbia copriva ogni cosa, rendendo il mondo ovattato e silenzioso. Le case di pietra del paese sembravano ombre tra le nubi basse, e la sola strada principale era avvolta da un'atmosfera surreale.
Le finestre delle case erano appannate, e le luci accese all'interno creavano un bagliore soffuso che si rifletteva sulla nebbia, regalando al villaggio un aspetto quasi spettrale. Gli alberi, spogli e contorti, si stagliavano come scheletri contro il cielo grigio.
Il vecchio Giacomo, con il suo bastone di legno nodoso, avanzava lentamente verso la scuola che fungeva da seggio elettorale. La sua figura curva e fragile si muoveva a malapena visibile attraverso il velo di nebbia. Ogni passo era accompagnato dal suono leggero del bastone che toccava il terreno umido, un ritmo che sembrava scandire il tempo in quel mattino silenzioso.
"Buongiorno, Giacomo!" lo salutò Enrico, il postino, mentre lo sorpassava in bicicletta. La sua voce era un po' attutita dalla nebbia, ma riuscì comunque a trasmettere un tocco di allegria.
"Buongiorno, Enrico. Sei andato a votare?" rispose Giacomo con una voce roca, segnata dagli anni. Il suo viso era solcato da rughe profonde, e i suoi occhi azzurri avevano una luce di saggezza contrastata dalla stanchezza.
"Sì, sì. È un dovere, non è vero?" Enrico sorrise, ma il sorriso si spense subito mentre continuava la sua pedalata verso la fine della via.
Giacomo raggiunse finalmente la scuola. La porta, di legno scuro e malconcio, emise un lungo gemito quando la spinse. Entrò nell'atrio, dove un'unica lampadina appesa al soffitto proiettava una luce fioca e tremolante. L'aria all'interno era fredda e umida, e l'odore di muffa era pungente.
"Buongiorno, Giacomo," disse Lucia, la volontaria che presiedeva il seggio. "Documento, per favore." La sua voce era gentile.
Giacomo annuì e consegnò la carta d'identità, poi si avvicinò alla cabina elettorale. Le vecchie tende rosse coprivano l'ingresso, e la cabina stessa era un'ombra tra le ombre della stanza. La stoffa delle tende era consunta, e i bordi erano sfilacciati.
Mentre Giacomo entrava nella cabina, Lucia guardò il suo collega Marco. "Hai notato qualcosa di strano oggi?" sussurrò, cercando di non farsi sentire dagli altri elettori.
"Strano? No, tutto normale. Perché?" rispose Marco, con un sopracciglio alzato. Il suo viso era impassibile, ma gli occhi tradivano un lieve interesse.
Lucia scrollò le spalle, visibilmente a disagio. "Non so... questa nebbia è più fitta del solito. Mi mette a disagio."
Giacomo non uscì dalla cabina elettorale. I minuti passavano, e Lucia iniziò a preoccuparsi. "Marco, vai a controllare Giacomo. Non dovrebbe metterci così tanto." La sua voce tremava leggermente, e il suo cuore batteva più forte.
Marco si alzò e si avvicinò alla cabina. "Giacomo? Tutto bene lì dentro?" chiese, ma non ci fu risposta.
Marco spostò la tenda e guardò dentro. "Lucia... non c'è nessuno."
"Come sarebbe a dire che non c'è nessuno?" Lucia si alzò in piedi, incredula. Entrò anche lei nella cabina, ma era vuota. Nessun segno di Giacomo. Le pareti della cabina sembravano stringersi su di loro, il buio era oppressivo.
La notizia della sparizione di Giacomo si diffuse rapidamente nel piccolo paese. "È scomparso! Giacomo è scomparso!" gridò Maria, la vicina di casa, mentre correva verso la piazza del paese. La sua voce rimbombava tra le case di pietra, e gli abitanti uscirono dalle loro case, scambiandosi sguardi preoccupati.
Il panico cominciava a serpeggiare tra le persone. "Dove può essere andato?" chiese uno. "Forse è uscito da un'altra porta," suggerì un altro, ma nessuno sembrava convinto. La paura cresceva, e con essa il mistero delle sparizioni.