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La marea del silenzio

Capitolo 6

Elisa osservava il simbolo disegnato nel terreno con una sensazione crescente di disagio. Quel rituale non era solo un retaggio di antiche credenze: c'era qualcosa di freddamente calcolato dietro, qualcosa che puntava a uno scopo più pratico e terribile. La traccia di sangue sulle candele ne era la prova.

Matteo si accovacciò accanto al disegno, scattando alcune foto con il telefono. «Non c'è dubbio: questo simbolo è identico a quello della cripta. Ma qui… è stato usato di recente.»

Elisa annuì. «Dobbiamo capire chi è stato. E soprattutto perché.»

Si voltò verso la strada da cui erano venuti, sentendo improvvisamente il peso della notte e del silenzio. «Torniamo in centrale. Voglio che questo sangue venga analizzato subito.»

In centrale, Elisa si chiude nel suo ufficio mentre Matteo portava il campione al laboratorio. L'immagine del simbolo continuava a ossessionarla. Decise di rileggere le note trovate nel fascicolo di Vernazza. Tra i nomi elencati, oltre a Anna Riva e don Luciano , ce n'erano altri che non aveva ancora collegato a nessun volto. Uno, però, attirò la sua attenzione: Giovanni Marini.

Elisa digitò il nome nel database della polizia. Pochi secondi dopo, sullo schermo appare il risultato: Giovanni Marini, imprenditore, legato a diverse inchieste per evasione fiscale e sospetti di riciclaggio di denaro. Non era mai stato formalmente incriminato, ma il suo nome compariva spesso nelle indagini su società di copertura.

Elisa iniziò a collegare i pezzi: E se il culto fosse solo una facciata?

Il mattino seguente, Elisa e Matteo si recarono all'azienda agricola di Marini, situata poco fuori Monteriva. L'ingresso era sorvegliato da un cancello alto e videocamere di sicurezza. Elisa suonò il campanello, ma nessuno rispose.

Matteo si guarda intorno. «Non sembra un'azienda agricola tradizionale. Troppa sicurezza per una struttura del genere.»

Elisa fissò il cancello, valutando la situazione. «Proviamo a fare un giro. Voglio vedere se troviamo un accesso sul retro.»

Mentre camminavano lungo il perimetro, notarono un furgone nero parcheggiato dietro un capanno. Era sporco di terra, ma qualcosa attirò l'attenzione di Elisa: sul paraurti c'era un adesivo, lo stesso simbolo del culto che avevano trovato nella cripta e nella radura.

«Questo non è un caso», disse Elisa.

Matteo annuì. «Abbiamo bisogno di un mandato. Dobbiamo agire in fretta. Se c'è qualcosa qui, potrebbe sparire in fretta.»

Tornati in centrale, Elisa fece richiesta per un mandato di perquisizione, ma sapeva che ci sarebbe voluto del tempo. Intanto, decise di scavare più a fondo sul legame tra Marini e le sparizioni. Non ci volle molto per trovare un collegamento: una delle persone scomparse negli ultimi anni, una giovane donna di nome Sofia Leone, aveva lavorato per un breve periodo come cameriera in uno degli agriturismi di Marini.

Elisa chiamò Chiara, la sorella di Anna, per chiederle se ricordava qualcosa su quel nome.

«Sofia Leone?» ripeté Chiara al telefono. «Sì, Anna la conosceva. Mi aveva detto che Sofia stava cercando di scappare da qualcosa, ma non sapeva cosa. Un giorno è sparita, e Anna ne era rimasta sconvolta.»

Elisa chiuse la chiamata con un nodo alla gola. Era chiaro che Anna aveva scoperto qualcosa di troppo grande, qualcosa che l'aveva messa in pericolo.

Quella sera, Elisa e Matteo tornarono alla radura per cercare ulteriori indizi. La scena era come l'avevano lasciata, ma qualcosa di nuovo attirò l'attenzione di Elisa: un piccolo pezzo di stoffa impigliato in un ramo. Lo raccolse, notando che era un tessuto pregiato, non qualcosa che ci si aspetterebbe di trovare in un bosco.

«Questo potrebbe apparire a una delle vittime», disse Matteo.

Elisa osservò il piccolo pezzo di stoffa ritrovato nella radura. Lo fece scivolare in una bustina di plastica, consapevole che anche il dettaglio più insignificante poteva essere la chiave per collegare i punti. Tornati in centrale, lo affidò al laboratorio per un'analisi immediata. La stoffa, di un blu intenso con un ricamo dorato, sembrava appartenere a un abito costoso.

Nel frattempo, Elisa e Matteo si chiuderanno nel loro ufficio. La tensione era palpabile. Matteo sfogliava le foto scattate nella radura e confrontava i dettagli con i fascicoli sulle vittime scomparse.

«Guarda qui», disse, posando una foto sul tavolo. «Sofia Leone, la cameriera che Anna conosceva. In questa foto indossa un abito blu con dettagli dorati. Potrebbe essere lo stesso tessuto.»

Elisa fissò l'immagine. Il viso giovane e sorridente di Sofia sembrava quasi uno schiaffo, un promemoria di quanto poco tempo aveva avuto. «Se la stoffa è sua, significa che è stato usato di recente. Questo confermerebbe il collegamento tra il culto e le vittime.»

Matteo aggrottò la fronte. «Vuoi dire che qualcuno conserva ancora i suoi effetti personali? Dopo tutto questo tempo?»

Elisa annuì lentamente. «Sì. Forse usano oggetti delle vittime per rituali o per controllare gli adepti. Qualcuno ha scelto deliberatamente di portare quel pezzo di stoffa lì.»

Nel pomeriggio, Elisa ricevette una telefonata dall'analista forense. «Il sangue trovato sulla candela appartiene a una donna. Stiamo ancora analizzando il DNA, ma c'è un dettaglio interessante: il campione è compatibile con i profili genetici di alcune vittime scomparse.»

Elisa si sedette lentamente. «Quindi ci sono più vittime coinvolte?»

«Non possiamo esserne certi senza ulteriori test, ma sembra che ci sia una connessione tra il rituale e le persone scomparse negli ultimi anni.»

Con queste informazioni, Elisa decise di concentrare le indagini sull'azienda agricola di Giovanni Marini. Avevano ottenuto il mandato di perquisizione, e il mattino seguente si sarebbero recati sul posto con una squadra.

«Dobbiamo essere pronti a qualsiasi cosa», disse Matteo mentre preparavano il piano d'azione. «Se Marini è davvero coinvolto, potrebbe avere coperture potenti. Non sarà facile farlo crollare.»

Elisa annuì, fissando la mappa dell'azienda agricola. Il suo istinto le diceva che Marini era una figura centrale, ma sapeva che dietro di lui c'erano altre persone, probabilmente più pericolose.

La mattina seguente, la squadra si presentò davanti ai cancelli dell'azienda. Marini li accolse con un sorriso forzato, sostenendo che non aveva nulla da nascondere.

«Fate pure», disse con aria complice. «Troverete solo campi e attrezzi agricoli.»

Mentre gli agenti setacciavano i terreni, Elisa e Matteo si concentrarono sull'ufficio di Marini. All'apparenza, era un normale spazio di lavoro, con scaffali pieni di documenti e un computer sul tavolo. Ma un dettaglio colpì Elisa: una cassaforte nascosta dietro un quadro.

«Matteo, qui!»

Marini, che li stava osservando dall'uscio, si irrigidì. «Non avete il diritto di toccare quella cassaforte. È materiale privato.»

Elisa ignorò le proteste e ordinò l'apertura della cassaforte. Al suo interno trovarono denaro contante in diverse valute, una serie di passaporti con nomi diversi e, soprattutto, un quaderno rilegato in pelle. Elisa lo sfogliò rapidamente: conteneva una lista di nomi e cifre, oltre a una mappa di rotte marittime.

«Questo non sembra molto agricolo», disse Matteo con sarcasmo.

Marini tentò di mantenere la calma, ma il suo volto era pallido. «Non avete prova che colleghi questi documenti a qualcosa di illegale.»

Elisa lo fissò con freddezza. «Vedremo cosa dirà il tribunale. Intanto, venga con noi.»

Quella sera, Elisa analizzò il quaderno trovato nella cassaforte. I nomi corrispondevano a molte delle vittime scomparse, con accanto cifre che sembravano indicare transazioni economiche. Le rotte marittime, invece, sembravano collegare Monteriva a diverse città portuali.

«Questo non è un semplice culto», disse a Matteo. «È un'operazione ben orchestrata. Usano il simbolo e i rituali per coprire qualcosa di molto più sporco.»

Matteo si appoggiò alla sedia, esausto. «Abbiamo finalmente trovato un filo. Ora dobbiamo tirarlo e vedere quanto in profondità arriva.»

Elisa annuì. «Dobbiamo farlo in fretta. Perché chiunque sia dietro tutto questo, non si fermerà davanti a nulla per proteggere il proprio segreto.»