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Un'altra primavera

Parte prima

Tutte le volte che rifletto su me stessa penso alla storia della rana bollita.

Lessi per la prima volta questa storia per caso in una rivista che mi passò fra le mani un giorno che andai dal medico.

Immaginate una rana che nuota dentro un grosso pentolone posato sopra a un fornello, il fuoco è acceso ma l’acqua è  fresca quindi la rana nuota tranquilla. 

Pian piano l’acqua si scalda, adesso è tiepida e piacevole perciò la rana continua a nuotare felice. La temperatura sale ancora ed è leggermente più calda rispetto a ciò che la rana vorrebbe, ma è ancora sopportabile quindi la rana continua a nuotare. 

Adesso la temperatura è davvero molto elevata, ma la rana ormai è bollita.

Lungo quel corridoio ripercorsi gli anni passati come in un film. Scanditi dal tacchettio dei miei passi i giorni infelici, tenuti segreti nelle tenebre di una relazione distorta, malata e pericolosa sembravano finalmente giungere al termine.

Tuttavia le ferite facevano ancora male, bruciavano come la prima volta.

Scortata da due uomini della polizia mi fermai davanti alla  porta di legno intarsiato dal fascino antico. Esitai, il timore mi assalì. Ormai temevo anche la mia ombra e l’idea di rivederlo mi terrorizzava.

Una voce alle mie spalle mi incoraggiò:

- Non si preoccupi. Non è sola. Eviti il suo sguardo e quando il giudice le chiederà testimonianza di quanto le è accaduto non si risparmi, non si vergogni. Semplicemente usi questa occasione per liberarsi di un immenso peso dal cuore e mostri a tutti quanto male le è stato inflitto. -

L’avvocato del centro anti violenza è una donna robusta, sicura di sé, talvolta appare perfino aggressiva, ma ha una personalità dai risvolti gentili e rassicuranti. Sembra dirti che ce la farai sicuramente e nel frattempo lei sarà lì a guardarti le spalle.

Restai immobile, a malapena riuscivo a respirare. Lo sguardo basso e l'intenso desiderio di sparire.

Con un gesto affettuoso eppure deciso l’avvocato mi afferrò il braccio e mi esortò ad entrare in aula: finalmente lui avrà in parte ciò che si merita.

Non era facile accontentarmi, per come la vedevo io la galera non bastava, avrebbe dovuto soffrire di tutte le pene che mi aveva costretto a subire.

Avrei dovuto lavorare molto per arrivare all’accettazione.

Avrei dovuto insistere con me stessa per concedermi un’altra possibilità, per riuscire a fidarmi nuovamente.

Avrei avuto bisogno di tutte le mie forze per riconoscere chi sono e quanto valgo.

La porta si aprì con un cigolio forte e fastidioso tipico degli infissi piuttosto vecchi, tutte le persone già presenti in aula istintivamente si voltarono a guardare chi stava entrando.

L’avvocato che mi accompagnava con una mossa veloce e repentina lasciò il mio braccio e si pose tra me e tutti quegli sguardi. Ancora una volta mi sentii sprofondare, ma nuovamente qualcuno mi tense la mano.

Lui era lì seduto, ben vestito e tirato a lucido. Il suo atteggiamento sembrava quello di uno spettatore che ha comprato un biglietto in prima fila per uno spettacolo divertente.

Com’è possibile che avesse quel ghigno superbo e divertito in volto? Davvero credeva che la mia paura mi impedisse ancora una volta di raccontare il tormento che ho vissuto a causa sua?

Non ero arrivata a questo punto per tirarmi indietro.

Quando raggiunsi il fondo e sentii che, se non avessi fatto qualcosa, sarei morta davvero, incominciai qualche ricerca in internet.

Avevo letto che l’allontanamento era il momento più delicato e il più pericoloso. 

Era necessario evitare di utilizzare i social e anche il telefono poteva essere traditore. Negli spostamenti era importante togliere l’opzione dati del telefono per evitare di essere rintracciati.

Lessi diverse testimonianze di donne che vivevano una situazione simile alla mia e mi resi conto che tutte eravamo sprofondate e intrappolate in una spirale in salita, in un crescendo di violenza che si ripeteva nel tempo in un susseguirsi di alti e bassi. 

Era un vivere così.

Dopo l’ennesima testimonianza avrei potuto terminare da sola ogni altro racconto avessi iniziato a leggere.

Sapevo che era possibile riprendermi la mia vita, ma sapevo anche che, se fossi stata scoperta, lui mi avrebbe picchiata e probabilmente uccisa.

Avrei mai avuto le energie necessarie e il coraggio per fare il primo passo?

Pensai che tanto, se avessi accettato che tutto continuasse, prima o poi sarei comunque morta. 

Tanto valeva non soccombere senza combattere. 

Almeno ci avrei provato, lo dovevo a me stessa. 

Chiamai il 1522, il numero gratuito anti violenza attivo 24 ore su 24, che avevo conosciuto in una delle mie prime ricerche su internet. Sembrava che le persone di quel servizio avessero aiutato con successo molte donne, così tentai.

Non diedi alcuna spiegazione, semplicemente chiesi se potevano ricevermi senza appuntamento. Fu un breve scambio di battute:

- Quando vuole, noi l’aspettiamo. - risposero

- Verrò appena mi sarà possibile - ribattei 

Riattaccai e cancellai la cronologia delle ultime chiamate.

Lui controllava sempre il mio telefono e il pc, ma grazie alle ricerche che avevo fatto avevo imparato qualche piccolo trucco che mi consentiva di evitare il peggio.

Il giorno in cui mi sentii sufficientemente forte aspettai che lui andasse a lavorare, isolai il mio cellulare da internet, chiamai mia madre e le diedi appuntamento davanti al centro anti violenza.

Così iniziava la mia rinascita.