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Un'altra primavera
Parte quarta
Il giudice acconsentì che l’avvocato si avvicinasse al suo banco.
Dopo aver preso un grosso plico dal nostro tavolo l’avvocato lo consegnò al giudice e cominciò la vera battaglia.
Durante il mio inferno, in quella casa con mio marito, tra le tante ricerche che feci mi colpì il racconto di una donna che aveva subito violenza verbale e fisica dal marito il quale era stato ben attento a non lasciarle segni evidenti sul corpo.
Quando la donna si era presentata dai carabinieri per sporgere denuncia questi le avevano chiesto se avesse referti ospedalieri o lividi o almeno graffi evidenti che supportassero quanto stava dichiarando. Quando la stessa aveva sostenuto di non averne, ma che fosse chiaro che il marito avesse intenzione di ammazzarla questi le avevano risposto che non si potevano fare processi alle intenzioni e che ci volevano invece delle prove.
Fu allora che iniziai: mi facevo delle fotografie ogni volta che venivo picchiata, andavo in ospedale quando ero certa che mio marito fosse occupato e non potesse tornare improvvisamente a casa senza trovarmi. Non sporgevo denuncia, ma ritiravo sempre i referti, talvolta riuscivo a registrare qualche conversazione.
Continuai così per molto tempo, tanto da raccogliere moltissima documentazione.
Poi, quando ci riavvicinammo perché lui si mostro pentito, decisi di disfarmi di tutte quelle carte e di tutti quegli orribili ricordi.
Ringrazio mia madre che ancora una volta mi protesse da me stessa, senza giudicarmi, semplicemente mi disse
- dalli a me, te li butto via io. -
Non lo fece, li conservò come un bene prezioso, perché lei sapeva, ma io no, che un giorno ne avrei avuto bisogno.
- Stimato giudice - riprese il mio avvocato - quello che le ho appena consegnato è la raccolta di numerose foto, referti ospedalieri e la trascrizione di alcune conversazioni che l’imputato ha avuto con la mia assistita. Come vedrete tutta la documentazione è prova di quanto raccontato dalla signora Lucia. Chiedo che venga messa agli atti tutta la documentazione appena consegnata e lo chiedo adesso perché solo adesso é venuta in mio possesso: la signora Lucia credeva di averli buttati, ma la madre li ha fortunatamente conservati - spiegò l’avvocato.
Il giudice, che aveva aperto il fascicolo appena gli era stato consegnato, guardò tutte le immagini dei lividi e delle ferite che mio marito mi aveva procurato su ogni parte del corpo e lesse tutte le prognosi e le cause riportate nei referti che dicevano tutte la stessa cosa “contusioni multiple ed estese causate presumibilmente da violenza domestica”.
Il giudice fece un’espressione di dispiacere che poi divenne di collera e successivamente di intolleranza.
L’avvocato di mio marito che fino a quel momento non era mai intervenuto si alzò in piedi
- obiezione! Stimato giudice, noi non abbiamo idea di cosa vi abbia appena consegnato l’avvocato della controparte. Avrebbe dovuto quanto meno procurarmene una copia. Dunque ci opponiamo che tale documentazione venga messa agli atti perché tardiva- sostenne deciso.
Per un attimo trovai la situazione che si era venuta a creare quasi divertente: mio marito che fino a quel momento se ne era stato seduto con un atteggiamento di completo disinteresse, si raddrizzò sulla sedia e cominciò a confabulare col suo avvocato. Era agitato ed evidentemente preoccupato.
Il mio avvocato, che sapeva bene dove l’avvocato difensore volesse andare a parare, tirò fuori dal borsone un altro plico, l’esatta copia di quello consegnato al giudice, e lo posò sul tavolo davanti a mio marito. Forse per il peso, forse per intenzione il plico fece un gran tonfo che face un bell’effetto.
Il giudice non tirò su nemmeno la testa, alzò solo lo sguardo al di sopra degli occhiali che teneva appoggiati sulla punta del naso e si limitò a dire
- respinta. -
Quella parola fu pronunciata senza enfasi né tono particolare, ma risuonò chiara e decisa in tutta l’aula e pose fine alla guerra.
Tutto ciò che avvenne dopo fu un semplice susseguirsi di testimonianze di medici, di persone che mi avevano raccolto e accolto nel momento più brutto della mia vita. Tutto ciò che l’avvocato di mio marito tentò di fare per sminuire la gravità di ciò che il suo assistito aveva compiuto, fu solo una risposta di poca sostanza e poco peso.
La sentenza arrivò finalmente dopo un mese circa e mi dovetti ritenere fortunata, molto spesso ci vogliono anni per ottenere giustizia.
Quel giorno, alle prime ore del mattino, l’avvocato mi chiamò
- Buongiorno Lucia, come si sente? -
- Agitata - risposi senza aver bisogno di rifletterci.
- Comunque vada, lei non è più con lui, c’è un ordine restrittivo che la protegge e ha cambiato zona. A proposito come si trova nell’appartamentino che le ha trovato l’associazione antiviolenza? - continuò l’avvocato
- non mi lamento, ma devo ancora abituarmi. Ah, domani ho un colloquio di lavoro come segretaria. Se andasse in porto il mio capo sarebbe una donna- nel dirlo mi uscì una risatina.
- Ma noi donne siamo tremende, sa? - l’avvocato ricambiò la risata poi continuò - senta Lucia, ho da chiederle un favore. -
- Mi dica, se posso sarò felice di farglielo - le dissi
- Qui all’associazione abbiamo un rito, quasi una scaramanzia, che mettiamo in atto in casi come il suo….. - mi spiegò in modo dettagliato quanto avrei dovuto fare.
- Nessun problema, lo farò certamente se tutto andrà come ci aspettiamo - risposi e ci salutammo.
Quando arrivai in aula ero terrorizzata, avevo il cuore in gola e non riuscivo a dire una parola.
Mi andai a sedere accanto al mio avvocato che, come sempre di gran empatia, capì la mia preoccupazione e non mi obbligò a parlare nemmeno per i saluti. Si limitò ad accarezzarmi la schiena in segno di conforto.
In quel momento entrò il giudice e ci alzammo tutti in piedi.
Lesse la sentenza
- … vista la produzione di documentazione…. Sentite le testimonianze… considerata la durata con cui si è perpetuato il reato e l’efferatezza messa in atto… Dichiaro l’imputato colpevole del reato di violenza domestica… Condanno l’imputato ad anni sette di reclusione… L’udienza è tolta. -
In quel momento, istintivamente abbracciai l’avvocato che ricambiò stringendomi forte e piansi, piansi come una bambina che aveva appena ritrovato il suo peluche preferito che credeva aver perduto per sempre.
Era giunto il momento di fare quel favore.
Entrambe, ci togliemmo le scarpe che avevamo indossato fino ad allora e indossammo un paio di scarpe rosse.
Uscimmo da quell’aula fiere, facendo con i tacchi più rumore possibile.
Il messaggio arrivò forte e chiaro a tutti i presenti.
Uscendo dal tribunale, il cielo mi sembrava più limpido, il sole più caldo e l’aria più pulita.
Ero pronta a vivere un’altra primavera.
Fine