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Un'altra primavera

Parte seconda

In quell’aula di tribunale me ne stavo seduta al mio posto, composta con le gambe unite e le mani appoggiate delicatamente sopra la gonna.

Non riuscivo a seguire ciò che veniva detto, nelle mie orecchie rimbombava solo un gran rumore assordante, ma non capivo una parola.

Ero isolata, imbambolata come se il mio corpo mi costringesse a rinchiudermi in me stessa per difesa.

Poi ad un tratto l’avvocato mi sussurrò alle orecchie:

- Lucia ascolti. Lucia. - mi richiamò all’attenzione poiché si era accorta che la mia mente si era isolata reticente ad affrontare nuovamente tutto quel dolore.

- Tra poco tocca lei - continuò quando ebbe nuovamente la mia attenzione - appena la chiameranno dovrà alzarsi, andare al banco dei testimoni, dare le sue generalità e ovviamente dichiarare di dire la verità. A quel punto potrà iniziare a raccontare la sua storia, non tralasci niente, sia impietosa nei confronti di quell’uomo e non risparmi nessuno dal dover ascoltare tutto sul dolore, sulla paura, e sulla privazione che è stata costretta a subire. Come vede la maggior parte delle persone in quest’aula sono uomini, alcuni sensibili altri meno. Questo significa che dovrà far capire loro che cosa vuol dire essere prevaricate con prepotenza, cattiveria e violenza. Dovrà fare del suo meglio quindi la prego si concentri, ritrovi la forza e il coraggio che l’hanno portata sino a qui. Quando si sentirà vacillare guardi me, guardi soltanto me, mi racconti tutto come se si stesse sfogando con la sua migliore amica. -

Non ero pronta, non si è mai pronte per certe cose, ma la voce del giudice che chiamava con fermezza il mio nome mi fece capire che era arrivato il momento.

Pronta o no dovevo ottenere il meglio da me stessa.

Mi alzai e andai a sedere dove mi era stato indicato, poi ci fu un momento di silenzio che quasi mi uccise. Non riuscivo a respirare, non sapevo da dove incominciare.

Fortunatamente il mio avvocato si alzò e mi venne incontro, richiamò il mio sguardo, sorrise e capii che sarebbe stata lei a riordinare tutti quei pensieri e quei ricordi che stavano insistendo per venire a galla in modo confuso e disordinato.

- Lucia vuole raccontarci come incontrò suo marito? - l’avvocato aveva fatto la sua prima domanda.

Io feci un gran sospiro, non sapevo più se quei ricordi suscitassero in me la piacevole sensazione di quando ero felice o la malinconia di un tempo che non c’è più. Dunque risposi:

- Avevo vent’anni quando lo incontrai la prima volta, ero ancora molto giovane e tutta la vita davanti a me. Uscii una sera con degli amici, andammo a cena fuori e lui era lì, bello come il sole, gentile, affettuoso, premuroso, non potei fare a meno di innamorarmene. -

L’avvocato incalzò: - A quel tempo come la trattava suo marito? Lei come si sentiva? -

- Mi sentivo al centro del suo mondo, sembrava che io fossi l’unica cosa davvero importante e che lui non potesse fare a meno di me, ma ben presto nemmeno io di lui. Mi veniva a prendere alla fine delle lezioni, stavamo un po’ insieme per raccontarci com’era andata la giornata e farci qualche coccola.  Si ricordava sempre di farmi un pensiero nei giorni speciali e mi guardava come se fossi l’unica donna nel suo universo. Quando non potevamo vederci, mi chiamava dopo cena e restavamo al telefono per ore. - risposi con tono addolorato.

- Poi tutto cambiò? - riprese l’avvocato

- Sì. - risposi immediatamente

- Può raccontarci come? - insistette l’avvocato.

- Ci frequentammo a lungo, per questo mi fidavo di lui e lo credevo meraviglioso, così andammo a vivere insieme. Mi sembrava di essere la principessa delle favole. Credevo davvero nel principe azzurro. Ben presto tutto cambiò,  l’uomo dolce e premuroso che avevo conosciuto si era trasformato in un despota.  Era sempre pronto a disprezzarmi, a fare qualche commento cattivo sul mio aspetto, a sottolineare ogni mio errore, qualsiasi cosa io facessi, a detta sua, era sbagliata. La mia favola si era trasformata in un incubo. -

Non ero ancora pronta a rivelare i particolari, l’avvocato lo sapeva e tergiversò ulteriormente con una domanda di scorta.

-Non si accorse del cambiamento dell’uomo che le stava accanto? -

- No - le dissi rapidamente, poi continuai - ci sono scivolata lentamente senza nemmeno rendermene conto. A poco poco l’uomo che amavo così tanto era diventato possessivo, maniaco del controllo e violento. Un cambiamento avvenuto in maniera graduale, sfuggito alla mia coscienza che non ha suscitato in me alcuna opposizione. Ciò che agli occhi era premura e attenzione era in realtà ossessione e predominanza. -

- Può farci qualche esempio? - mi interruppe l’avvocato.

Io continuai. 

- Si arrabbiava se tornavo a casa in ritardo, con la scusa della sorpresa mi veniva a prendere sempre più spesso ovunque mi trovassi e lentamente mi ha isolato. Ricordo una volta che impiegai molto tempo per prepararmi perché dovevamo andare a cena fuori con i miei genitori e volevo che mi trovassero ben vestita, ben curata. Poco prima di aprire la porta per uscire lui si fermò e mi squadrò da capo a piedi. Il suo sguardo era chiaramente di disgusto. Mi ha fatto sentire pessima senza nemmeno aver parlato. Continuava a ripetermi cose orribili tipo “ come sei ingrassata, sei diventata bruttissima, potrei avere tutte le donne che voglio, perché dovrei restare con te?” A poco a poco smisi di guardarmi allo specchio. Avevo capito che non potevo reagire, se solo provavo a controbattere lui diventava aggressivo. 
“ È colpa tua, guarda cosa mi fai fare!” mi diceva. 
Smisi anche solo di guardarlo negli occhi. Restavo in silenzio con la testa bassa sempre, per tutto il tempo.

- Si limitava a disprezzarla? - chiese l’avvocato.

- Ricordo che una mattina si alzò e mi chiese se gli avevo preparato un abito che voleva indossare per andare al lavoro. Io non lo avevo preparato, la sera prima ero arrivata tardi dal lavoro e fortunatamente lui era tornato dopo di me altrimenti chissà cosa sarebbe accaduto. Quella sera avevo fatto appena in tempo a preparare qualcosa per la cena e poi ero crollata priva di energie sul letto. Quando lui capì che il vestito non era pronto si infuriò e, sebbene ne avesse diversi tra cui scegliere, gli fu più caro esplodere dalla rabbia. 
Incominciò a urlare a sbattere le sedie di qua e di là, prese a calci la poltrona e mi picchiò. Mi picchiò così forte che rimasi stordita per giorni.

- Pensava veramente fosse colpa sua? - mi interruppe l’avvocato

- Facevo fatica a pensare. Allora avevo solo paura. -continuai - Ci fu una volta che mi prese perfino per il collo. Mentre lo guardavo con occhi increduli che chiedevano pietà, lui mi diceva che era tutta colpa mia, che se mi fossi comportata bene tutto questo non sarebbe mai accaduto e che se lo avessi raccontato a qualcuno lui avrebbe ucciso me, i miei genitori e avrebbe detto a tutti quanto fossi incapace, inutile e una poco di buono. Io gli credetti, continuai a temere il peggio, a tacere e a sopportare. Tagliai ogni rapporto con le amiche, a malapena chiamavo i miei genitori per sapere se stessero bene. C’è stato un momento in cui mi sono sentita morire dentro, in cui sentivo che non potevo fare niente e ubbidivo solamente. Non dicevo più nulla. Lui mi diceva qualcosa, io la facevo. -

- Credeva che le cose sarebbero potute cambiare? - incalzò il difensore legale.

- Mi chiusi in me stessa nella speranza che, se avessi provato a essere come voleva, sarebbe tornato l’uomo che era. Mi sbagliavo. Il sabato pomeriggio ero abituata ad andare a fare la spesa e in una di quelle occasioni incontrai un caro amico di scuola per strada e decidemmo di andare a prendere un caffè insieme in ricordo dei vecchi tempi. Al rientro a casa lui incomincio a spintonarmi, a chiedermi perché ci avessi messo così tanto tempo a fare la spesa, che lui sapeva che frequentavo un altro uomo e che lo tradivo. Aggiunse anche che ero una poco di buono e che meritavo di morire. Terminò il suo sfogo con pugni e cinghiate fino allo sfinimento. Quella volta mi prese alla sprovvista, solo molto tempo dopo compresi che spesso mi seguiva e controllava ogni mio movimento. -

- Suo marito ha mai avuto dei momenti in cui la trattava bene durante i quali desse l’idea di voler cambiare? -

Rimasi qualche secondo in silenzio per raccogliere le idee. C’erano stati delle occasioni in cui mi sembrava che fosse tornato l’uomo di cui mi ero innamorata, ma erano solo illusioni. Anche questi periodi erano calcolati e messi in atto perché io ne fossi disorientata nel tentativo di tenermi legata a sé.

Poi d’improvviso nuovamente tutto cambiò e pensai che il peggio fosse passato, che l’uomo meraviglioso che era fosse tornato e saremmo stati ancora felici. Ero in errore.