
storie, racconti e altro
Un'altra primavera
Parte terza
In quella grande stanza mi sembrava che tutti stessero guardando me e il timore che fossi io ad essere giudicata stava prendendo il sopravvento. Non ero stata io ad aver fatto quelle cose, non ero io quella sotto processo, eppure sentivo addosso gli sguardi di persone chiamate a giudicare fissi su di me come se il reo fossi io. Perfino la temperatura mi sembrava insopportabile: avevo le mani gelate e il fiato corto.
Guardai l’avvocato nella speranza di trovare occhi accoglienti, comprensivi e protettivi. Li trovai.
- Lucia stia tranquilla, ricorda la domanda che le ho fatto? - riprese
- Si - dissi sussurrando.
- E se la sente di rispondere? - continuò lei.
- Una volta - iniziai - tornò a casa dal lavoro, era venerdì sera, aveva in mano un enorme mazzo di fiori e un piccolo sacchetto di gioielleria.
Io rimasi davvero molto sorpresa, lui se ne accorse e si sbrigò a dirmi che era un pensiero di gratitudine per quanto facevo per lui, per la casa e per noi.
Ricordo che la mia soglia di allarme aveva fatto scattare l’attenzione ad allerta rossa. Nonostante fossi sospettosa e non mi fidassi affatto, accettai le rose rosse meravigliosamente confezionate e scartai il regalo.
Rimasi ancora più sorpresa perché mi aveva regalato un paio di orecchini che mi fermavo a guardare tutti i sabati nella vetrina della gioielleria accanto al fruttivendolo dove acquistavo regolarmente la frutta. Una volta entrai persino e li provai. Adesso è chiaro che, anche in quell’occasione, mi aveva seguita, ma allora davvero non c’ero arrivata.
Mi disse anche che aveva prenotato in un bel ristorante e che quella sera saremmo andati a cena fuori.
Mi suggerì di prepararmi, di farmi più bella di come ero di solito semmai fosse stato possibile.
Non capivo più nulla, ero disorienta e incredula, ma mi preparai e andammo a cena.
Al ristorante mi parlò come se il nostro rapporto fosse sempre andato meravigliosamente bene o meglio, come se il suo comportamento non avesse scalfito minimamente i sentimenti che avevo per lui. Non era così.
“Sei sempre bellissima” mi disse. Non ci potevo credere e quando gli chiesi spiegazioni su questo suo cambiamento lui capì che era necessario ingranare la marcia. Mi giurò che era pentito, che non si sarebbe comportato in quel modo mai più, che mi amava infinitamente e che senza di me la sua vita non avrebbe più avuto senso.
Adesso lo capisco che anche ciò che disse in quell’occasione avrebbe dovuto far scattare in me il senso del pericolo. Ora è tutto così chiaro ed evidente. Allora però avevo davanti un uomo in lacrime che mi scongiurava di perdonarlo e io amavo così tanto l'uomo che era da essere cieca, da non vedere che per lui io ero solo una proprietà di cui doveva disporre liberamente, a suo piacimento, che il suo pentimento e le attenzioni di quel momento altro non erano che l’ennesima strategia per tenermi legata a sé. -
In quel momento tutto fu così maledettamente chiaro e lineare che non mi fu più possibile trattenere le lacrime.
Fui invasa da una rabbia incontrollabile. Ero in collera con lui , ma anche con me stessa che gli avevo permesso di abusare di me in quel modo. Ero anche arrabbiata con coloro i quali avevo cercato di confidarmi e che erano stati in qualche modo complici di quel delinquente.
Diverse volte mi ero incontrata con alcune amiche prima che lui comprendesse che mi ero accorta del suo comportamento deviato e mi costringesse all’isolamento sociale.
Avevo cercato un confronto, avevo raccontato, spiegato come mi sentivo eppure non ero stata creduta: ero io quella che non capiva, che aveva un marito così premuroso, ero io che lo facevo arrabbiare e che lo provocava, ero ancora io che me l’andavo a cercare.
L’unica a sostenermi era mia madre, alla quale davvero non importava se ciò che raccontavo fosse vero o meno, lei aveva capito che non ero felice anzi che stavo male e questo le bastava per chiedermi, no implorarmi, di allontanarmi da lui.
Non so spiegare perché non lo abbia fatto, perché gli abbia permesso di arrivare a tanto.
Ora mi accorgo che mio marito era stato un ragno attento e meticoloso, che aveva costruito una ragnatela così perfetta intorno alla sua preda che ero rimasta impigliata senza nemmeno accorgermene e senza appello.
Mi coprii il volto con le mani, piangevo a dirotto, non volevo essere guardata dalle persone in aula, non volevo che lui mi vedesse piangere ancora per lui.
- Lucia, si calmi. Non si copra il volto, non è lei a doversi nascondere - mi si rivolse l’avvocato. Poi parlò al giudice - Forse potremmo fare una pausa, lo consente? -
-Interrompiamo per una pausa di 15 minuti, l’udienza riprenderà alle 11 precise - Il giudice acconsentì.
Mi alzai dalla sedia nella quale ero seduta ormai da più di un’ora, ero molto affaticata e sentivo le gambe cedere sotto al mio peso. La tensione accumulata era stata davvero eccessiva.
Raccolsi le forze e con l'aiuto dell’avvocato mi avviai verso il bagno.
Evitai di incrociare lo sguardo di mio marito, non ero nelle condizioni di sostenerlo e poi, in fondo, non mi importava.
Fino a quel momento lui era stato impassibile, incredibilmente distaccato. Probabilmente aveva compreso che non era più mia intenzione tornare indietro, che di lui non ne volevo più sapere nulla. Per questo non riteneva necessario mostrare un alcun sentimento o un minimo pentimento. Probabilmente penserà perfino di uscire da quest'aula di tribunale con la fedina penale pulita.
Non lo permetterò.
In bagno mi diedi una sciacquata al volto e lo asciugai con quelle salviette e usa e getta di carta che lo resero un compito arduo.
Mi guardai allo specchio, dritta negli occhi e mi parlai nella mente. Fui austera, decisa come se non dovessi convincermi, ma costringermi a reagire e sentii una fitta al cuore come quando vedi una mamma che impone al proprio bambino a fare qualcosa che è evidentemente per il suo bene. Era un dispiacere sincero e profondo.
- Stammi bene a sentire - dissi tra me e me - recupera il coraggio ovunque esso sia, piangi, disperati, ma non tirarti indietro. Non sei qui per soccombere. La paura non se ne e non ti aiuterà. Quindi, se vuoi uscirne, devi guardare in faccia la realtà, essere sincera con te stessa e farti aiutare. Questo è solo il primo passo, toglierti dai guai non basterà, avrai davanti a te un lungo cammino e non sarai più la stessa. Riprendere in mano la tua vita non sarà affatto semplice: ritrovare un equilibrio interiore, avere a che fare con la gente, riacquistare fiducia negli altri non sarà facile, ma devi credere in te stessa. Affronta i problemi uno alla volta e fatti i complimenti tutte le volte che risolvi qualcosa o semplicemente perché te li meriti. Sono certa che ce la farò. -
Buttai nel bidone con un movimento deciso le salviette, ormai ridotte a brandelli, che avevo usato per il viso, passai una mano tra i capelli, addrizzai le spalle e uscii dal bagno a testa alta.
Fuori l’avvocato mi stava aspettando trepidante e preoccupata, ma quando mi vide arrivare con quello sguardo così fiero e deciso…
- lo sapevo! Sapevo che avevi la forza per non lasciarti prevaricare e ora andiamo e assestiamo un colpo che non gli lascerà via di scampo. - l’avvocato aveva la luce della rivalsa negli occhi.
Accennai un sorriso perché quella donna era così fiera da poter condividere la sua forza con noi che ne avevamo a malapena per raccogliere i cocci. La sua esuberanza, solo all’apparenza fastidiosa, era la spinta necessaria che aiutava a far ripartire il motore del mezzo che ci avrebbe portato sulla strada per la salvezza.
Una accanto all’altra attraversammo il corridoio che separava i servizi dalla grande stanza del tribunale e rientrammo in aula.
Tutti erano in silenzio e molti mi osservavano incuriositi nel tentativo di comprendere come avesse potuto cambiare la mia espressione in modo così repentino.
Il mio volto, che prima lasciava trasparire disfatta e terrore ora mostrava decisione e desiderio di lasciarsi alle spalle una tragica esperienza.
Mi accomodai nuovamente sulla sedia al banco dei testimoni e ripresi il mio racconto. Nessuno mi chiese come stessi, nessuno disse una parola. Lo notai, ma non mi importava.
- Nel periodo in cui lui mostrò pentimento ci riavvicinammo molto. Ritrovammo nuovamente l’intesa mentale e fisica che avevamo avuto all’inizio della nostra relazione.
Ero così felice che mi abbandonai nuovamente e totalmente a lui.
Quando gli fu chiaro che la mia mente e il mio cuore avevano cancellato tutto ciò che mi aveva fatto accecati dalla speranza, dal desiderio e dall’illusione di riavere l’uomo che tanto avevo amato, precipitai nuovamente nell’inferno di disprezzo, di aggressione e di violenza per cui avevo tanto implorato nella speranza che non si ripetesse. -
L’avvocato mi interruppe e si rivolse al giudice
- Stimato Giudice, mi consente di avvicinarmi al banco?